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IL DISCORSO DEL RE
(THE KING'S SPEECH)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 aprile 2011
 
di Tom Hooper, con Colin Firth, Geoffrey Rush, Elena Bonham Carter, Derek Jacobi, Guy Pearce (Gran Bretagna, 2010)
 
Ecco il film fatto per mettere tutti d'accordo. Per il significato di una storia con la maiuscola, e che è ancora nelle memorie di quasi tutti; per le immagini raffinate, le prestazioni superlative degli attori, vanto della formidabile scuola inglese (ma come rinunciare ad apprezzarla nella versione in lingua originale?), la sceneggiatura abile nello sfuggire alla rievocazione ingessata. E, non da ultimo, per la risonanza del marketing mediatico innestata dai potenti produttori Weinstein. I risultati si sono visti immediatamente: dodici (!) candidature agli Oscar, Colin Firth, già vincitore del Golden Globe, Geoffrey Rush e Elena Bonham Carter che vi concorrono in discesa.

THE KING'S SPEECH è un bel film, consensuale. A somiglianza del nobile ed emozionante itinerario del duca di York, futuro re Giorgio VI, padre dell'attuale regina Elisabetta. Minato da una fortissima balbuzie, proprio negli anni Trenta dell'avvento della radio; oltre che degli Hitler e Mussolini, maestri nello sfruttare gli effetti delle nuove tecnologie. Timido e riservato: ma costretto a succedere sul trono al fratello Edoardo VIII, sciaguratamente (per l'epoca) determinato ad abdicare per unirsi alla divorziata, oltre che americana Wally Simpson. Grazie a un lungo testa a testa (che costituisce la parte più introversa e godibile del film) con un originale e iconoclasta logopedista di origine australiana, il duca riuscirà ad emanciparsi, e non solo dal difetto fisico. Ma da un'educazione, una mentalità, un'umiliante emarginazione famigliare che riflettevano una parte delle mutazioni sociali in atto; e che non predisponevano di certo un monarca ad affrontare degnamente le prove terribili che si avvicinavano.

L'importanza della parola, l'influenza della tecnologia sulla politica, la rivincita della dignità umana nei confronti della paccottiglia istituzionale sono i temi che una parte del film veicola brillantemente; anche grazie ad un'accentuazione stilistica efficace se non sempre delicata (quelle "grandangolature" piuttosto facilone), quanto programmaticamente calcolata nella sua non-invadenza. Più convenzionale la parte “storica” (che sorvola allegramente sulla iniziale condiscendenza di una parte del paese nei confronti delle potenze dell'Asse), una certa insistenza nella spiegazione dell'aneddoto, una sorta di troppo pieno che si fa quasi tentazione al pettegolezzo mondano quando si entra nel glamour delle vicende più pruriginose.


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